Ho iniziato a lavorare professionalmente come danzatrice e insegnante negli anni ottanta. Uno dei principali problemi, tuttora irrisolti, era la mancanza di regolamentazione circa l’apertura di scuole di balletto. Non erano richiesti titoli per qualificare l’insegnante, quindi assenza norme circa la sicurezza, la programmazione dei corsi, la cautela nei confronti di corpi in via di sviluppo e corretta formazione, la certificazione e l’aggiornamento degli insegnanti. Spesso la logica commerciale sovrastava quella artistica e pedagogica.

Lo stesso sta avvenendo in forma forse ancor più estesa nel campo dello yoga e discipline olistiche, definizione che comprende una notevole varietà di proposte.

Recentemente in una conversazione in treno ho detto a una persona che faccio l’insegnante di yoga. Replica: Si, ma di lavoro cosa fa? Come se fosse dato acquisito che tutti gli insegnanti di yoga in realtà facciano un lavoro vero e poi magari un paio di sere alla settimana tengano dei gruppi.

Da studi emersi durante il Master in Yoga Studies del 2016 all’università Ca’ Foscari, è emerso che la figura dell’insegnante è ancora oggi indefinita come la effettiva validità delle scuole di formazione. In Italia, malgrado gli sforzi della YANI, l’associazione degli insegnanti qualificati di yoga, la sintesi di una normativa a livello nazionale non è ancora stata redatta.

Osservo senza polemizzare, che dopo trent’anni di professione è inevitabile provare un certo disagio. Negli ultimi anni la dispersione e la confusione sono aumentate esponenzialmente, grazie anche all’oceano di informazioni riversate sul web provenienti da ogni parte del globo, al proliferare delle scuole, ai corsi nelle palestre.

Ma mentre alcuni swami e guru si fanno fotografare per pubblicare post sui social altri continuano concentrati e ispirati coi loro insegnamenti nei luoghi più improbabili e nascosti. Per chi vuole avvicinarli occorre fare tanta strada.

O magari pochissima, basterebbe saper riconoscere la genuinità e l’onestà di chi è in grado di trasmettere insegnamenti e chi ha invece creato un prodotto. Magari un buon prodotto, ma da vendere a più clienti possibile. La quantità, se parliamo di formazione e innovazione, non è compatibile con la qualità.

A certi livelli è valida la regola che debba essere il maestro a scegliere gli allievi e la ancestrale tradizione del rapporto che regola questa trasmissione di sapere esiste tuttora.

Nascosta, difficile da trovare, ancor più da mantenere e onorare. Roba per chi non ha problemi con i termini: disciplina, devozione, fatica, ubbidienza, frustrazione, investimenti. Ricominciare.

Ma nel caos imperante di questi tempi un sentiero preciso e luminoso delinea senza interruzione il percorso della trasformazione. Una via non a alta velocità, non rintracciabile sulle mappe di Google.