La particolare luce degli occhi, l’energia della voce, la calma nei gesti, la lucida semplicità delle parole, fanno dell’incontro con Carla Perotti un momento speciale. Decana dello yoga, ha fondato a Torino agli inizi degli anni Sessanta l’associazione italo-indiana Sadhana, uno tra i primi centri yoga in Italia. Laureata in filosofia, giornalista, scrittrice e saggista, oltre a dirigere per molti anni “Essere”, rivista divulgativa di temi spirituali, ha pubblicato numerosi libri presso diverse case editrici tra cui: “Il tuo corpo”, “Nel giardino della guarigione”, “I miei maestri”, “Anime nomadi”, quest’ultimo a beneficio degli orfani tibetani orfani a Dharamsala.
Discepola di Dharmarama e Jean Klein, considera Mère una delle figure portanti del suo percorso interiore. E con uno stile di insegnamento personale e raffinato ha trasmesso il suo sapere a generazione di praticanti.

 

Come è arrivata allo yoga?

Attraverso un libretto dal titolo “Yoga e salute” che mi regalò un amico. Avevo dei persistenti dolori alle vertebre cervicali e iniziai a praticare con meticolosa regolarità gli esercizi descritti. I dolori scomparirono e al tempo stesso nacque una nuova traccia di consapevolezza, un sentiero che non ho più lasciato. Quando seppi che a Torino era giunto George Dharmarama, un medico del Kerala che teneva lezioni di yoga, mi unii al gruppo. Dopo qualche anno, con alcuni amici adepti, fondammo l’Assiciazione italo- indiana. E quando incontrai il maestro Jean Klein fu di nuovo per problemi di salute. La sua visione di medico andò ben oltre al problema fisico che accusavo puntando dritto a una mia situazione personale da risolvere, cui non avevo minimamente fatto cenno. Diventai sua discepola. E anche se Klein non c’è più da una decina d’anni la sua presenza a Sadhana è molto forte.

 

Tiene ancora personalmente le lezioni?

Certo, anche se ospito insegnanti di varie discipline, in modo che chi si avvicina allo yoga possa sperimentare un’attività più meditativa o fisicamente più attiva. Ho sempre organizzato concerti, lezioni di cucina ayurvedica, incontri con maestri di diverso orientamento. Altre iniziative come conferenze e seminari residenziali si svolgono a Zena, vicino a Piacenza, in una grande casa che appartiene alla nostra famiglia da oltre 200 anni, dove sostarono anche i Templari sull’itinerario della via Francigena.

 

Quale sarà il tema principale del suo nuovo libro Essere Yoga?
(Serra Tarantola editrice, Brescia)

Ho dedicato il mio ultimo lavoro a beneficio di coloro i quali praticano lo yoga senza avere ancora avuto modo di conoscere la letteratura hinduista e buddista. Ho scelto brani e citazioni dai testi classici dello yoga e dell’induismo, in particolare le Upanishad e la Bhagavad Gita, che ritengo fondamentale rispetto ai grandi temi della vita: la morte, l’illusorietà del mondo manifesto, il concetto di maya. E’ un testo che dovrebbe essere studiato nella scuola dell’obbligo.

 

Si può dire che nell’esercizio della sua pratica la mente venga prima del corpo?

Mente e corpo sono strettamente connessi, si condizionano e si “nutrono” reciprocamente. Lo Yoga mi ha portata, attraverso il lavoro sul respiro e sul corpo, a uscire dalle restrizioni della razionalità. Mi ha consentito di avvertire in che area del mio corpo avevo eretto delle barriere. La vera guida è l’attenzione, la consapevolezza. Poco per volta il dono dell’ascolto e del sentire mi hanno insegnato a gestire la dinamica delle energie, così come farebbe un direttore d’orchestra.
Questo mi è stato molto utile durante la malattia, il cancro. Attraverso i livelli sottili del mentale si può agire per esempio sull’emoglobina, sui globuli bianchi, persino sulla pressione. E’ un lavoro di ascolto, direi persino di ricamo. Mi è stato molto utile anche un vecchio libro di Simonton sulle visualizzazioni, perché il potere dell’immaginario è in grado di agire sulla materia.