Dato che nella mia natura coesistono due tendenze contrastanti, cioè il desiderio di libertà totale e il bisogno di disciplina, per dare alla mia vita un’andatura più regolare ho fatto di necessità virtù e ho cercato di abbinare il piacere al dovere. 

Ad esempio, dov’è la gratificazione nel sacrificio di alzarsi prima la mattina? Nel sentire che l’energia fluisce meglio lungo il corso della giornata. Perché fare sempre considerazioni per ogni azione da compiere se posso seguire una traccia preordinata e procedere senza dispersione lungo lo scorrere della giornata, con vantaggio sugli imprevisti che inevitabilmente comportano un costante ricalcolo? 

Ho scoperto nella metodicità un modo di sentirmi più libera di scegliere  quale direzione prendere e non farmi confondere dalla dispersione delle scelte infinite che abbiamo su ogni episodio del quotidiano. 

Nel momento più intenso del mio ritualizzare c’è la devozione spontanea e profonda che mi fa accendere tutte le mattine una candelina e un incenso nel tempietto dedicato al mio Guru, Swami Sivananda. Un semplice atto di sospensione che ripeto da molti anni che mi fa ricordare gli impegni che ho preso con me stessa e con gli altri, nel nome dei nobili insegnamenti che mi sono stati trasmessi. Non è un gesto automatico, perché in quei pochi minuti affino la presenza totale verso qualcosa di infinitamente più grande che ci contiene e ci ispira.

Parlo volentieri di questo tema perché mi rappresenta e rappresenta il cuore della disciplina yogica.

Prima delle nozioni apprese, dei libri studiati e della somma delle esperienze positive e negative che ci hanno fatti crescere attraverso salite e discese più o meno impervie, c’è la nostra attitudine personale. Quello che ci piace e quello che ci da’ fastidio. Persone che ci ispirano e altre che ci infastidiscono. Un insieme di tendenze che fanno parte del nostro corredo genetico.

Rito è il mio cognome, e secondo l’etimologia del nome Alessandra, la vittoriosa, mi riconosco sicuramente nella formula personale: vittoriosa attraverso il rito.

Ritualizzare significa comportarsi in modo da attivare vantaggiosamente tutti gli schemi di rendimento. E’ un’energia contagiosa che si trasmette dall’intenzione interiore, che ci ispira e va in una data direzione. 

Il termine sanscrito è Sankalpa, che può essere tradotto come intenzione o risoluzione.

Un’intenzione che deve essere concreta, realistica, affermativa al tempo presente come: “mantengo la calma e affronto qualunque situazione”.

Una volta stabilita una direzione tutti i sistemi psicofisici possono allinearsi e convergere verso l’intento risolutivo, iniziando subito, con piccoli passi, con uno sguardo verso il meglio possibile.

Una visione ristretta offusca l’orizzonte delle risposte interiori,  che sono potenzialmente inesauribili. E grazie alla capacità di ritualizzare possiamo nutrirci quotidianamente di nuova linfa.

Il concetto di rito è dinamico, non dipende da dogmi o regole imposte dall’esterno. Possiamo tenere conto delle norme e restrizioni del senso comune, ma ciò che è importante è imparare a conoscere e riconoscere se stessi nella nostra unicità e straordinarietà, che spesso non sono state riconosciute nel corso del nostro sviluppo o nelle scuole che abbiamo frequentato. 

Lo yoga e l’Ayurveda non sono religioni, accolgono qualunque credo personale e ci ispirano a principi universalmente condivisibili che ripristinano la salute aiutandoci a individuare le variabili che hanno originato lo squilibrio.

Ritualizzare serve a regolare il corpo fisico, la mente e il livello energetico, perché questi campi sono indissolubilmente interconnessi e immersi nel flusso delle energie cosmiche.

Come il giorno e la notte e le fasi lunari, nel nostro corpo si susseguono ritmi che devono essere rispettati, leggi naturali che dobbiamo conoscere e onorare.

I rituali mattutini migliorano l’organizzazione della giornata, i rituali serali favoriscono il sonno profondo e la pace interiore.

Buona pratica, buona primavera !