Scrittore e traduttore di vari testi sul buddismo tibetano, eccezionale comunicatore, titolare della cattedra di studi indo-tibetani alla Columbia University, primo occidentale ordinato monaco buddista nel 1964 e amico personale del Dalai Lama. Ospite a Torino della manifestazione Torino spiritualità, ci parla in questa intervista esclusiva del suo impegno personale per la difesa e la valorizzazione della cultura tibetana.

Professor Thurman, è uno studioso illustre, le sue conferenze hanno successo non solo in America dove è stato considerato uno degli uomini più influenti dal New York Times, ha una grande famiglia unita e armoniosa: quello che si direbbe un uomo affermato. Ma che cos’è per lei il successo?

Non credo che avere successo significhi fare soldi ma riuscire a fare ciò che si ama e condividerlo con altri. Tra le diverse professioni l’insegnamento è un grande privilegio. La gente può imparare qualcosa che può cambiare in meglio la propria vita. Anche se fai un lavoro per puro guadagno va bene, se lo fai in modo creativo, se il tuo prodotto è utile, se in qualche modo migliora la società è positivo, ma essere un professore è speciale. Nel buddismo ci sono tre modi di dare: beni materiali, sicurezza e protezione, dharma: imparare non solo pratiche religiose ma strumenti di azione, qualcosa che puoi usare per migliorare praticamente la tua vita. Il successo è qualcosa che va in questa direzione.

In questo momento sta lavorando a qualche progetto in particolare?

Ne sto portando avanti molti, ma su espressa richiesta del Dalai Lama, il più importante è la traduzione in inglese del testo cardine delle università buddiste indiane Adhiatma Vidya, dove si parla anche di yoga e scienze della mente. Si tratta di oltre 3600 libri originalmente in lingua sanscrita. Per portare a termine il progetto occorreranno 40 o 50 anni. A oggi abbiamo già pubblicato circa 12 libri e quando andrò in pensione qualcuno proseguirà nell’opera. Abbiamo già trovato dei lasciti importanti, ma per poter andare avanti ne occorreranno almeno il doppio; contiamo anche sulla collaborazione di un lama tibetano che abita in Buthan e ha molti allievi in tutto il mondo; lui è focalizzato sulle opere religiose mentre io più sulle parti tecniche. Questo lavoro sarà molto importante per la comprensione dello yoga, le sue teorie sulla salute, il sistema nervoso, la conoscenza della mente; oggi in occidente solo le neuroscienze si avvicinano a questo approccio ma sono più orientate verso le apparecchiature e la chimica. Sono convinto che la medicina in futuro dovrà tenere conto della profondità di questo sapere. Quando troverò un assetto stabile per questo progetto potrò andare in pensione.

Che cos’è il Menla Mountain Center?

Menla è il Buddha della medicina. E’ il mio secondo grande progetto, e come in molti altri è coinvolta anche mia moglie Nena. Dagli anni 90 per volere del Dalai Lama sono alla guida dell’organizzazione Tibet House, che ha sede principale a Manhattan e altri centri in America. Richard Gere è stato responsabile per i primi cinque anni di attività, ma il suo impegno è più orientato verso l’attivismo politico piuttosto che la divulgazione culturale. Nel 2001 abbiamo avuto un’importante donazione, una tenuta di 300 acri e alcune costruzioni per accogliere ospiti e praticanti nella zona delle Catskills Muntains, a un paio d’ore da Manhattan. Quando ero un giovane monaco, fui costretto contro la mia volontà a studiare duramente per due anni i fondamenti della medicina tradizionale con il medico del Dalai Lama e non mi spiegavo per quale ragione impegnarmi così a fondo su una materia che non avrei potuto inserire nei miei insegnamenti. Ho quindi avuto l’idea di creare un centro per promuovere la cultura tibetana attraverso la diffusione della medicina, sulla cui matrice è fondata la società stessa: si tratta infatti di norme alimentari, pratiche fisiche preventive e curative, fitoterapia, e molto altro. Avremo medici per consultazioni che potranno fare diagnosi e prescrivere terapie e offriremo la possibilità di trascorre dei periodi di ritiro. In India ci sono 50 cliniche tibetane che hanno molto successo ed è una medicina che i cinesi utilizzano da sempre.
Mentre proseguiamo con i lavori stiamo affittando la struttura a importanti centri e insegnanti di yoga quali Jivamukti, Rodney Yee, Baron Baptiste, Richard Freeman per i loro seminari, la qual cosa ci aiuta nelle importanti spese di gestione.
I programmi sono sul sito www.menla.org.

Quando è stato l’ultima volta in Tibet?

Nel 2007, sul monte Kailash dove sono stato sei volte. Una di queste con mio figlio Dechen, insegnante di yoga, che ha viaggiato con me anche in Mongolia e Bhutan dove abbiamo lavorato insieme con gruppi di praticanti.

Che cosa pensa circa la grande popolarità, quasi della moda dello yoga?

Tutto il bene possibile! Va bene che qualcuno si avvicini a questa disciplina anche con intenti superficiali o estetici: si troverà presto a sperimentare dei miglioramenti non solo fisici ma anche psicologici e spirituali inaspettati che miglioreranno la propria salute e la vita in generale. Lo yoga moderno è orientato verso le scuole tantriche e Vedanta, non dualistiche, dove corpo, mente e spirito sono
intese come interagenti in un continuum organico e dinamico, mentre in origine lo yoga dei Sutra e della scuola filosofica del Samkya era dualistico: molto più orientato verso le pratiche mistiche e ascetiche di restrizione corporale.

Come sta il Dalai Lama?

Molto bene. E’ pieno di energie e lavora incessantemente. Ha appena ricevuto la cittadinanza onoraria della città di Budapest di cui è molto onorato. Il mio ultimo libro si intitola Why the Dalai Lama Matters, perchè è importante il Dalai Lama, in cui spiego che il Tibet non è contro la Cina ma per la libertà interna del popolo tibetano e propongo la formula win- win solution: vittoria per la Cina che può mantenere i territori, vittoria per il Tibet che può ottenere la libertà interna. Il libro è già stato tradotto anche in italiano e speriamo di trovare presto un editore disposto a pubblicarlo.

Come riesce a trovare il tempo per la sua pratica personale?

La mia pratica è in questo momento, nel mio insegnamento, nelle conferenze: la meditazione migliore è quella che entra nella vita quotidiana.

Alessandra Rito,
Torino 23 settembre 2010
Articolo pubblicato su Yoga Journal gennaio 2011